DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXV SEMINARIO INTERNAZIONALE DI
STUDI STORICI
Campidoglio, 21-22 aprile 2015
Università
di Bologna
COSTANTINOPOLI
NUOVA ROMA: POPOLI, IMPERO E EVOLUZIONE SOCIALE
Sommario: 1. L’impero universale cristiano. – 2. Universalità imperiale e signorie locali
dell’aristocrazia. – 3. Assimilazione al cristianesimo dei popoli slavi. – 4. Dell’impero. – 5. Mutamento
dei ceti di governo fra VII e VIII secolo. – 6. Militarizzazione dell’impero di contro al
califfato. – 7. Ruolo della marineria nell’VIII-IX secolo. – 8. Difesa
del possesso fondiario medio piccolo contro il latifondo. – 9. Esercito
e agricoltura. – 10. Assolutismo imperiale e ruolo degli eunuchi. – 11. Prevalenza
dell’aristocrazia militare.
L'ideologia della basileia,
denominata anche in modo equivalente monarchìa,
la concezione del potere imperiale e il culto del sovrano, divengono la
matrice della forma di stato e società nell’impero romano-orientale. In essa si
evidenzia la diretta derivazione dalle concezioni ellenistiche della regalità,
quali già sono stereotipate in un testo del II secolo a.C. eminentemente
interculturale, la Lettera di Aristea a
Filocrate, che di lunga fortuna e tradizione testuale godrà nella alta
cultura romano-orientale. L'autoritarismo degli imperatori militari fin dal III
secolo d.C. trovò nella cultura filosofica e storiografica una ossequente
rispondenza non priva di speculazioni mistiche sulla divinità del monarca, tema
della tradizione faraonica e siriana, mitigato in quello della scelta divina
del sovrano nella tradizione persiana ed ebraica, che si incontrava con le
forme arcaiche della regalità ellenica, caratterizzata dalle genealogie divine
dei sovrani.
Il I secolo segna il momento saliente dell'assunzione della
ideologia politica ellenistica nella riflessione delle personalità eminenti
dell'impero romano e della diffusione del culto del sovrano a Roma, che, sul
piano cerimoniale, e forse magico, marcava le manifestazioni cortesi e urbane
della divinità del potere e del regnante, concezione che attraverso il rituale
imperiale ha segnato le tradizioni nazionali e la liturgia ecclesiastica di
Europa. Nel IV secolo la divinità del potere imperiale si coniuga con la
finalità di salvezza universale del cristianesimo e gli imperatori, senza più
pretender una divinità propria, si presentano come investiti personalmente da
Dio della loro missione trascendente di salvezza della umanità.
La visione trascendente del potere imperiale, metastoricamente
proiettata in un programma di salvezza universale, viene sfidata dalla
contestazione dei ceti aristocratici, in profonda evoluzione sotto la pressione
della autocrazia e di fatto gestori di un largo potere territoriale nell’ambito
dei loro latifondi. Poiché tendono ad allontanarsi dal servizio militare,
mentre l’impero necessita di un largo impegno difensivo tramite truppe
stanziali e tramite un esercito di movimento, risorse e potere tendono a
passare nelle mani dei militari. I ceti di aristocrazia senatoria subiscono un
drastico ridimensionamento ad opera della autocrazia militare nel corso del
tracollo territoriale fra VII e VIII secolo, perché ad essa debbono cedere le
risorse economiche e le posizioni politiche di cui si alimentano le clientele
autocratiche.
La espansione territoriale è estranea al processo di formazione
dell’impero romano-orientale, infatti è una porzione dell’impero romano,
sopravvissuta alla germanizzazione dell’Europa occidentale, alla slavizzazione
della Penisola Balcanica e all’arabizzazione del Crescente Fertile. Solo in un
paio di periodi della sua storia l’impero romano-orientale ha tentato politiche
espansionistiche: durante la riconquista giustinianea nel VI secolo e durante
le riconquiste della dinastia macedonica nel X secolo, culminate nel IX secolo
con la riconquista di Creta e di Antiochia e nei primi decenni dell’XI secolo
con la sottomissione della Bulgaria e l’annessione del regno di Armenia.
Dal punto di vista culturale la sua ideologia imperiale
universalistica, la capacità di assimilazione al cristianesimo dei popoli slavi
(Moravia nell’863), della Bulgaria turco-slava (865) e della Rus’ kieviana
(988) è un elemento tipizzante degli “imperi” come vengono elaborati dalla
politologia moderna.
Nel VI – VIII secolo si verificano la invasione longobarda
d’Italia (568) e la successiva caduta dell’Esarcato nel 751 in Italia
centro-settentrionale; con la invasione di Avari, Slavi e Bulgari della
Penisola Balcanica (544, 558-559, 566, 580-582, 592-602, 614, 616-617); nel VII
secolo si verifica la conquista araba di Palestina, Siria ed Egitto (634-642),
e la conquista della Hispania fra il 612 e il 615, quando l’impero doveva
fronteggiare l’espansionismo sasanide, ad opera dei Visigoti di re Sisebuto:
certamente Cartagena andò perduta durante il governo di Eraclio, non sappiamo
se per mano di Sisebuto o di Suintila. Gli ultimi centri della Hispania
imperiale scomparvero negli anni 625-626 e Cartagena perde anche il suo rango
episcopale, oltre ai notevoli danni materiali subiti. I romano-orientali
continuarono a essere presenti nelle Baleari e a Ceuta ma la situazione in cui
si venne a trovare Eraclio gli impedì ogni altra iniziativa in Hispania.
Nell’impero in costante regressione territoriale dalla seconda metà del VI
secolo, agli ultimi decenni del IX secolo con la conquista araba dell’Africa
dal 641 al 704; con la perdita della maggior parte della Sicilia nell’ 827-901,
ad opera degli emiri di Kerouan (Tunisi), e di Creta (826-827) ad opera di
musulmani di Spagna – si verifica un arroccamento anatolico che consente la
sopravvivenza dello stato di fronte all’espansionismo del califfato di Damasco
e una resistenza marinara che appare agli occhi di Costantino VII Porfirogenito
come una forma di talassocrazia.
La destrutturazione territoriale produce un avvicendamento di
ceti al governo: perde importanza la vecchia aristocrazia senatoria, sul piano
economico con lo sfaldamento dei latifondi e sul piano politico con
l’accentramento militare delle competenze di gestione. Il potere politico si
regge su un sistema di riscossioni fiscali su commerci e possessi fondiari, e
sulla espansione del patrimonio pubblico di terra, che consentono il
mantenimento di un esercito stanziale di circa 150.000 unità, retribuite in
denaro e in terre coltivabili, e su una burocrazia molto ramificata. Su tutto
il simbolo unificante dell’imperatore e del suo cerimoniale.
Gli antichi ceti urbani, sottoposti ai carichi curiali,
scompaiono all’interno della gerarchia imperiale, vuoi per alleanza e
combinazione matrimoniale, vuoi per esproprio. In questo processo la gerarchia
imperiale si connota come nuova aristocrazia, nel senso di gruppo di governo,
élite del potere, non necessariamente provenienti dalla classe dominante della
grande proprietà terriera anche se poi ad essa assimilati; quindi aristocrazia
di servizio imperiale non aristocrazia come autonoma istanza sociale in grado
di contrapporsi alla autocrazia. Monarchia aristocratica e monarchia
autocratica si scontrano sulle pagine dei trattatisti politici da Costantino a
Giustiniano, mentre i militari latini di estrazione balcanica tengono
saldamente in pugno le redini del potere che si tramandano per via familiare
fino all’avvento del greco Maurizio.
Sotto il profilo ideologico la missione metastorica che
caratterizza la ideologia imperiale viene caratterizzata da Giovanni Damasceno
con queste parole: «la vera e legittima monarchia è causa della pace,
dell’ordine e della quiete, e dello sviluppo al meglio». In teoria il suo
potere è assoluto ma in pratica viene condizionato dall’esercito, dal clero e
dai moti popolari che si susseguono costantemente nella storia dell’impero dal
VI all’XI secolo, ma con movimento centripeto, cioè per sostituire l’imperatore
regnante, non per abbattere l’impero.
La basileia ton Rhomaion
è in compenso una antesignana del sistema della monarchia assoluta, con le
caratteristiche strutturali e organizzative che in Europa occidentale si
verificheranno compiutamente per alcune monarchie fra XV e XVI secolo, dopo la
disastrosa guerra dei Cento Anni fra Francia e Inghilterra (1339-1453) e fra
XVI e XVII secolo nel corso delle guerre per la egemonia fra Francia e Spagna
(1667-1713) e fra Francia e Sacro Romano Impero (1672-1719).
Dall’età costantiniana alla età giustinianea la ampia estensione
del territorio, gravitante sugli stretti dei Dardanelli, la talassocrazia, la
ricca concertazione di città anatoliche e del crescente fertile, vero motore
economico dei traffici mediterranei, il respiro internazionale del governo
romano-orientale; sono elementi che conferiscono alla autocrazia militare quel
carisma ecumenico e quell’alone trascendente che la tradizione imperiale romana
faceva riverberare sulla nuova realtà di governo. La divinità del potere, la
stoica provvidenza, erano transitate nella nuova cultura cristiana, obliterando
appena la nozione della divinità del monarca, rimpiazzata con quella del
primato antropologico conferito all’imperatore dalla scelta imperscrutabile di
Dio per la gestione del potere e la missione di salvezza del genere umano,
scelta peraltro revocabile in caso di tirannide.
L’età giustinianea è effettivamente un periodo di espansione
territoriale nel senso classico dell’impero, espansione atta a consolidare il
dominio delle rotte marittime dal Mar Nero al Mediterraneo e dunque di vantaggio
per gli scambi commerciali e l’incremento della produttività agricola e
artigianale smerciata attraverso le città costiere. Il soldo d’oro diviene
moneta di tesaurizzazione internazionale. Ridurre l’economia monetaria alla
semplice coniazione, come se fosse possibile disporre di riserve auree senza
forza economica effettiva e cogliere nel soldo solo un mezzo di propaganda
internazionale sembra una semplificazione da ignari di economia.
Ma alla espansione segue un lungo periodo di perdite
territoriali in Italia e nella Penisola Balcanica, in cui i costi dell’esercito
pesano gravemente sulla economia imperiale non in grado di farvi fronte. E’ il
problema che Münkler definisce “sovrespansione imperiale”, cioè un eccesso di
spese militari per la conquista o difesa del territorio che indebolisce
l’impero e la sua capacità di resistenza. Le vicende politiche internazionali
dalla età di Eraclio alla età degli iconoclasti segnano il tracollo territoriale
della antica compagine imperiale a raggio mediterraneo. L’ostilità del
califfato di Damasco, sostenuta ancor prima della loro islamizzazione dalle
società del Crescente Fertile, fonte di risorse granarie, di redditi fiscali e
centro di produzione dell’oro sudanese, apre un’era di competizione politica ed
economica fra impero romano-orientale e impero islamico che marca il crollo
economico e civile del sistema cittadino della Anatolia. La riduzione di
disponibilità demografiche, nella Penisola Balcanica, in Anatolia, in Siria e
in Egitto, spinge il governo imperiale romano-orientale al reclutamento armeno
dei quadri militari, con effetti sulla struttura della gerarchia e sulla stessa
dinastia, come si vedrà dal secolo IX in poi. In ogni caso la carenza di
disponibilità economiche produce un conflitto autoriduttivo all’interno della
gerarchia imperiale: basti pensare allo sterminio operato da Focas (602-610) a
danno della famiglia e della clientela dell’imperatore Maurizio (582-602) che
rappresentava la fine della dinastia giustinianea: si trattò dunque
dell’avvicendamento di quasi tutto il ceto dirigente selezionatosi da Giustino
I (518-527) a Giustino II (565-578) e Tiberio II Costantino (578-582), ceto i
cui interessi sono alla base della continuità dinastica, al di là della persona
dell’imperatore.
L’età di Eraclio (610-641), pur con i suoi successi militari
contro Avari e Persiani, registra la scomparsa delle nuove coniazioni in oro
supplito dalla bella moneta d’argento dell’esagramma nel 616. Le necessità
finanziarie sono tali che il potere autocratico si trova ad allungare le mani
sui tesori delle chiese, compreso il tesoro lateranense del papa di Roma,
aprendo in età eracliana un contenzioso che si approfondirà in età
iconoclastica e porrà la radice dello scisma fra le due chiese.
Il periodo da Eraclio a Teodosio III (715-717) segna il tracollo
territoriale ed economico dell’impero, in effetti ridotto a stato regionale
anatolico, sostenuto però da una talassocrazia che consente il controllo delle merci
e della formazione dei prezzi soprattutto dell’Occidente, e che si accompagna
peraltro ad una spontanea gemmazione di società regionali decise a sopravvivere
nell’assetto culturale e politico proprio al disfacimento del sistema
imperiale. Le cosiddette “ribellioni” di truppe locali, assunte dalla
storiografia occidentale ad indice del malgoverno romano-orientale, esprimono
al contrario quella volontà di resistenza locale contro la minaccia del
califfato di Damasco e degli emiri arabi che porterà i regoli asturiani a
resistere alla invasione araba di Spagna fino alla vittoria di Covadonga del re
don Pelayo nel 716, anteriormente alla capacità di opposizione dei carolingi e
alla resistenza delle truppe guidate da Leone III (717-741) sullo stretto dei Dardanelli,
la porta orientale della Penisola Balcanica e dell’Europa, che i califfi non
riuscirono a varcare, grazie alle truppe iconoclaste.
In questo contesto di spirito di resistenza e di esaurimento di
risorse pubbliche i ceti artigianali e mercantili soprattutto connessi con
l’arsenale di Costantinopoli, vengono valorizzati in una decisa presa di
posizione politica che culminerà nella scelta marinara di Eraclio e di Costante
II, pronti a trasferire il baricentro dell’“impero” da Costantinopoli Nuova
Roma, ritenuta indifendibile, al nodo delle rotte mediterranee fra Cartagine e
Siracusa che devono assicurare il mantenimento dell’esercito. Niceforo I
mediterà addirittura di stabilire una regime “democratico” cioè di governo del
popolo delle arti della città imperiale, che aveva sostenuto lo sforzo
economico e aveva fornito la flotta su cui si basava la resistenza militare
romano-orientale alla superpotenza del califfato dilagante dalla Persia alla
Spagna e deciso ad espugnare Costantinopoli Nuova Roma.
Il riaccentramento territoriale e la capacità di resistenza ed
espansione militare di Leone III e Costantino V suscitano un largo consenso verso
una politica aggressiva di asserzione della autocrazia contro gli accumuli di
potere economico di chiese e monasteri, in larga parte istituzioni signorili e
di proprietà privata del fondatore, condotta con i metodi del fiscalismo
bizantino contro cui incentra la sua critica eversiva santo Stefano Iuniore
che, nel rifiutare l’oro in quanto “kovpro tou satana”, provvede a disperderlo
a vantaggio della comunità fiscale di paese, cioè propone una società
svincolata dalla morsa economica e politica del centralismo imperiale, probabilmente su
base “democratico-ecclesiale”, contro cui si scatena la violenza istituzionale
di Costantino V. La possibilità politica nel senso del decentramento
principesco pilotato dagli alti gerarchi ecclesiastici, è evidenziato dalla
parabola politica del patriarcato romano a partire dalla gestione di papa
Zaccaria nonché dall’episodio collaterale dell’arcivescovo di Ravenna.
L’esercito, l’agricoltura, di cui viene difesa la piccola e
media proprietà contadina specialmente dei militari dotati di terre pubbliche
in cambio di servizio militare, la struttura amministrativa dell’impero e la
macchina ideologica della corte e del potere imperiale consolidano l’impero del
IX-X secolo e permettono notevoli successi in ambito territoriale, come la
riconquista di Creta, la riconquista della Siria e di parte della Mesopotamia e
la sottomissione della Bulgaria. Fondamentale è il successo della
cristianizzazione dei popoli slavi, che conferisce all’impero romano-orientale
un prestigio e un significato storico che dura anche dopo la sua scomparsa
politica.
Il codice rurale dell’VIII secolo ma di lunga durata
tradizionale mostra la presenza di larghi strati di piccolo e medio possesso
contadino nelle comunità di paese, possessi scalati secondo la disponibilità di
bovini da lavoro: boidati, zeugarati e dizeugarati, cioè nuclei contadini che
possiedono un solo bue, oppure un giogo di buoi o due gioghi di buoi. I grandi
possessori fondiari dispongono di varie unità di gioghi bovini e dal punto di
vista fiscale non rientrano nelle comunità di paese, caratterizzate dalla
solidarietà fiscale dei vicini di fronte alla amministrazione centrale. I buoi
non vengono dunque considerati come fonte di carne e l’uccisione di un bue può
causare la esecuzione dello schiavo che l’ha provocata. La dinastia macedonica,
da Romano Lecapeno a Basilio II mise in opera una politica di contenimento del
latifondo signorile a vantaggio del piccolo e medio possesso contadino e del
fisco imperiale. La legislazione imperiale del IX-XI secolo cercherà di
proteggere le comunità di paese dalla ingerenza di grandi possessori fondiari,
perché essi sono spesso in grado di non pagare le tasse, illegalmente o anche
legalmente per privilegio imperiale.
Il grande possesso episcopale e monastico rientrano nella
medesima categoria dei grandi possessori fondiari. Ma al grande possesso
ecclesiastico gli imperatori cercano di imporre un limite e una funzione utile
all’impero vietando nel IX secolo la cessione di terre private agli enti
ecclesiastici (si potevano fare lasciti solo in moneta) e poi conferendo in charistikion, cioè in “donativo” a
grandi funzionari imperiali la gestione di monasteri: il primo esempio si
verifica sotto Costantino IX Monomaco ai danni della Grande Lavra del Monte
Athos.
Il centralismo imperiale si esprime con la attenzione prestata
al sistema fiscale e all’ordinamento dell’esercito, ma anche tenendo a bada le pretese
della aristocrazia militare, talvolta dotata di truppe private, che viene messa
in concorrenza con uno speciale personale di corte, gli eunuchi, cui si
affidano importanti cariche civili e militari, classe di persone che sono
affini ai ministeriali del Sacro Romano Impero di Nazione Germanica, cioè
persone slegate dal contesto aristocratico e interamente dipendenti
dall’imperatore: sono anzi spesso schiavi di origine paflagone. Malgrado la
proibizione emessa nel 558 da Giustiniano nella novella 142, la Paflagonia era
un centro di confezione degli eunuchi. L’evirazione dei figli maschi e la loro
vendita come schiavi per il servizio di corte era ancora nel IX secolo una
delle risorse dell’economia della regione. Funzioni di rilevo furono affidate
ad eunuchi e servitori personali dell’imperatore dal V all’XI secolo.
Ma con il prevalere della aristocrazia militare nell’XI secolo
con le dinastia dei Comneni si verifica una espansione del sistema signorile nelle
campagne e un indebolimento del potere centrale proprio mentre Turchi da
Oriente e Latini, cioè occidentali da Occidente aggrediscono in vario modo
l’impero romano-orientale, che deve ricorrere a truppe straniere compensate con
risorse economiche del fisco: le città marinare italiane forniscono flotte da
guerra in cambio di esenzioni fiscali nel mercato romano-orientale, le truppe
di terra sono spesso formate di mercenari di incerta fedeltà e disposte ad
avventure politiche, come normanni e catalani.
La cultura romano-orientale mantenne una costante attenzione
geopolitica verso lo scacchiere mediterraneo e balcanico in cui la sua azione
si svolgeva: Cosma Indicopleusta nel VI-VII secolo, il de administrando imperio di Costantino VII porfirogenito nel 952, i
rapporti diplomatici con tutti i potentati confinanti, musulmani o cristiani,
sono una costante della azione politica dell’impero, che ha una coscienza
precisa della funzione dei mari e delle possibili alleanze con principati
stranieri, fino a giungere sotto Manuele Comneno al progetto di fusione del
regno di Ungheria con l’impero, sotto un imperatore ungherese marito della
porfirogenita Maria figlia dell’imperatore.
La conquista della IV Crociata e la conseguente formazione di un
impero latino di Costantinopoli, esaurito nella capitale entro il 1261 ma
perdurante in periferia, Creta e le isole ionie fino al XVIII secolo; la
progressiva conquista prima selgiucchide poi ottomana della Anatolia e anche
della Tracia, provocarono la scomparsa territoriale dell’impero, anche se la
sua eredità ideale prese a emigrare verso la Russia e anche se il prestigio del
patriarcato ortodosso di Costantinopoli rimase a lungo intatto.
[Un evento culturale, in quanto ampiamente
pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente
anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di
questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal
Comitato promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma
alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR
e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con
la collaborazione della ‘Sapienza’
Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A
COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]